29 Set Porti & dintorni. Cosa fa la portualità internazionale per reagire alla crisi. Numero 18
Condividiamo questa settimana una interessante notizia tratta da Shippingitaly.it.
Da un’indagine condotta da Flexport fra cargo owner e produttori è emerso che più della metà degli intervistati ha trasferito le proprie fonti di approvvigionamento negli ultimi sei mesi e che quasi un partecipante su tre ha trasferito più del 10% delle proprie fonti di approvvigionamento in altri paesi. L’interruzione della catena di fornitura globale causata dalla pandemia di Coronavirus a livello globale e l’escalation delle tensioni fra Cina e Stati Uniti prima delle elezioni presidenziali americane stanno spingendo i proprietari di merci e i loro operatori logistici 3PL a intensificare gli sforzi per trovare opzioni di fornitura non cinesi. È il fenomeno cosiddetto di reshoring della produzione. Anche se l’intero processo migratorio dei centri di produzione dall’Estremo Oriente richiederà del tempo per compirsi, gli spedizionieri dicono che per ora un processo di diversificazione delle opzioni di approvvigionamento da parte dei produttori è già iniziato e dovrebbe accelerare, in particolare tra le aziende statunitensi. Il responsabile del trasporto marittimo globale di Dhl Global Forwarding, Dominique von Orelli, ha sottolineato a Lloyd’s Loading List che, ancora prima che il mondo scoprisse il Coronavirus, la guerra dei dazi fra Usa e Cina aveva già incentivato i produttori a spostare la produzione fuori dalla Cina per evitare tariffe gonfiate sulle esportazioni dirette oltreoceano. La dipendenza dalla Repubblica Popolare come patria della manifattura è quindi messa in discussione.
Dopo cinque difficili mesi, le importazioni statunitensi dalla Cina hanno iniziato a riprendere a partire da giugno. Tuttavia, quest’anno Vietnam, Tailandia, Singapore e Indonesia hanno goduto di una crescita più stabile delle esportazioni verso gli Stati Uniti, con il Vietnam che si è messo in particolare evidenza durante tutta la pandemia. Tuttavia, nei mesi di giugno e luglio, non solo le esportazioni dalla Cina si sono riprese, ma sono anche cresciute rispetto all’anno scorso. Secondo Martin Holst-Mikkelsen, responsabile del trasporto marittimo in Europa per Flexport, la Cina rimarrà un importante polo produttivo ancora per molti anni a venire.
La Cina gode di importanti infrastrutture e, secondo gli esperti di Flexport, «le competenze e le capacità che sono state stabilite nel corso dei decenni non possono essere sostituite in un breve periodo di tempo. Alcune produzioni, naturalmente, sono più facili da spostare rispetto ad altre. E se si pensa all’abbigliamento o all’arredamento, si hanno in realtà buone alternative che emergono in altre parti del mondo». Detto ciò, per le industrie che si affidano alla tecnologia, spostare i paesi di produzione è stato difficile. E non si parla solo di manodopera e fabbriche, ma anche di materie prime che sono disponibili in Cina e non facili da trasferire.
Klaus Lysdal, vicepresidente di iContainers, ha evidenziato a Lloyd’s Loading List il fatto che per molti spedizionieri questa evoluzione rappresenta una “brutta sorpresa”. Se prima una casa di spedizioni faceva 10 container al mese dalla Cina, in futuro probabilmente la stessa mole di lavoro si tradurrà in cinque box dalla Cina, tre dal Vietnam e due dall’India, o da qualsiasi altro paese in cui abbiano trovato altri fornitori a prezzi competitivi. Una diversificazione dei mercati di approvvigionamento garantisce la possibilità di scegliere tra diversi bacini di fornitura se la guerra dei dazi dovesse permanere o intensificarsi.